Strambi giudizi sui fumetti japstyle

Irvyne è Inuyasha

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  1. Dragoon88
     
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    IRVYNE è INUYASHA? STRAMBI GIUDIZI SUI FUMETTI JAPSTYLE
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    Premessa: visto che questa tematica riguarda moltissime persone ho deciso di pubblicare questo articolo per intero, ciò per far sì che possa essere condiviso nella sua interezza con chiunque ne sia interessato.


    Chi disegna in stile giapponese “disegna i pupazzi e i suoi personaggi originali sono copie di quelli nipponici”. Con tutta probabilità frasi del genere potrebbero suonarvi molto familiari e scommetto che il sentirle non sia stato per voi il massimo, in special modo se siete disegnatori. Creare è un processo che si compie anche per gli altri, ma quando questi ultimi non capiscono si può arrivare ad essere ignorati o addirittura ad essere denigrati. Qual è la vera natura di questo fenomeno?

    I PERSONAGGI DEI FUMETTI JAPSTYLE SONO COPIE DI QUELLI GIAPPONESI?

    Il suddetto fenomeno interessa, o ha interessato, un po’ tutti i fumettisti japstyle, ma per analizzarlo preferisco prendere ad esempio due amici di DM, Giorgio Battisti e Mirco Cabbia, per evitare di toccare sensibilità di persone con cui non ho sufficiente confidenza e di cui non sono portavoce.
    È capitato che asserzioni in cui si tende a sottolineare la somiglianza di un certo personaggio con un altro più famoso siano state indirizzate anche ai due ragazzi, autori rispettivamente de Il patto della volpe e Stone of fate; Irvyne è stato fortemente associato ad Inuyasha e allo stesso modo Roberto ad Ichigo Kurosaki di Bleach: come mai? Forse i ragazzi in fase di progettazione hanno davvero sbagliato qualcosa? Sono dei copioni? Senza alcuna ombra di dubbio la risposta è no, perché in realtà i lettori che sostengono la tesi della somiglianza hanno una lacuna cognitiva. Quello che ho appena detto potrebbe sembrare una sterile provocazione, detta magari per difendere a spada tratta i miei colleghi, ma in tutta obiettività è una solida e neutra constatazione, e vi illustro ora il perché.

    Quando osserviamo qualcosa, ciò che vediamo non è la realtà oggettiva, bensì una elaborazione del nostro cervello: in pratica la nostra mente, artista e tela allo stesso tempo, disegna quello che i nostri occhi percepiscono.
    In particolar modo quando per la prima volta osserviamo qualcosa, l’impressione che “avremo disegnato” nella nostra testa non sarà mai una perfetta riproduzione di quello che si è osservato: avrà meno particolari, sarà meno fedele nelle proporzioni, eccetera e di conseguenza risulterà sempre incompleta. Tecnicamente parlando, in una sola frase si dice che “la mappa non è il territorio” (la mappa è il nostro disegno mentale, il territorio la realtà “oggettiva”).

    Facciamo un esempio pratico per non perderci in troppe parole: durante i miei primi giorni di università passavo per una famosa piazza di Napoli chiamata Piazza Dante. La prima volta in cui la attraversai mi parve davvero immensa, ma oggi al contrario dico che essa è ben più piccola di quello che pensavo un tempo. La piazza si è quindi ristretta negli anni? Ovviamente no, semplicemente sono io che ho delineato progressivamente, raccogliendo sempre più informazioni, una migliore mappa mentale di quel luogo. Funziona così a prescindere dall’oggetto osservato, che sia una persona, un edificio o un disegno.

    Ma c’è di più, quando si osserva qualcosa per la prima volta, che abbia una forma solida o meno, la mente tende a fare associazioni con qualcosa di già visto o detto, perché deve subito darsi una spiegazione, in altre parole deve in quel momento completare il “quadro incompleto che sta disegnando”. Quando si vuol dare una forma conosciuta alle nuvole oppure una persona anziana scambia seriamente un iPhone per “un indefinito mattoncino bianco”, succede proprio questo.
    Sintetizzando, quando si guarda una determinata cosa il cervello non riesce a raccogliere subito tutte le informazioni e parte in quarta con le associazioni per completare quanto visto.



    Fatta questa (semplificata) premessa, passiamo al sodo: cosa succede nei casi di Roberto ed Irvyne?

    Nel primo, il lettore associa il personaggio protagonista del fumetto di Mirco ad Ichigo perché il suo stile di disegno deriva in parte da quello di Tite Kubo; in pratica, prima di finire di analizzare quanto sta vedendo, nota una vaga somiglianza stilistica e parte subito con le associazioni credendo davvero che Roberto sia il “fratello gemello di Ichigo”, ma se guardate l’immagine comparativa A, senza neanche troppa attenzione, potrete certamente notare notevoli differenze fra i due personaggi. Caso uno, risolto.

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    Nel caso di Irvyne si va ancora più in là. Nonostante lo stile di disegno di Giorgio sia completamente diverso (e non influenzato) da quello della sensei Takahashi e nonostante le caratteristiche fisiche e del vestiario siano altrettanto differenti, qualche lettore ha associato il personaggio al celebre protagonista del fumetto della maestra giapponese: in parole povere, ha visto un ragazzo con i capelli in parte bianchi e con un paio di orecchie da canide e dice che è Inuyasha.
    Strano, non trovate? Ma a dirla tutta la cosa più strana per me non è affatto questa, ma è l’associare di rado da parte degli occidentali altri personaggi di fumetti giapponesi con simili caratteristiche al mezzo demone in questione.
    La mia spiegazione è che, unitamente al processo cognitivo sopra descritto, la mente di alcuni, suggestionata da ben noti preconcetti e luoghi comuni sui fumetti japstyle, non perde tempo in analisi obiettive e, con intenzioni denigratorie o meno, produce un giudizio alterato e non conforme alla verità. Detta in parole più povere, “visto che il manga si può fare solo in Giappone, gli Italiani produrranno sempre delle pseudo copie, mentre un Giapponese non lo farà mai a prescindere”.

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    La colpa delle affermazioni pressappochiste è da far ricadere tutta e in ogni caso solo sui lettori?
    Secondo me no, non credo che si debba fare di tutta l’erba un fascio. Ho avuto modo, infatti, di visionare attentamente anche il materiale di alcuni disegnatori, in erba o meno, le cui storie o i cui disegni erano veramente troppo attaccati ai modelli dei loro autori di riferimento: in casi del genere, i lettori hanno pienamente ragione. Fortunatamente però, casi del genere sono estremamente rari, legati alla immaturità giovanile e artistica del singolo disegnatore di fumetti.

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    MA DISEGNI I PUPAZZI?

    L’altra affermazione, “tu disegni i pupazzi/le bambole”, da dove deriva? È molto semplice, nasce sempre dallo stesso processo cognitivo, generalmente dalla bocca di persone avanti con gli anni: entrando in rapporto per la prima volta con un fumetto giapponese notano che questi personaggi sono disegnati in genere con caratteristiche caricaturali, cosa che porta loro ad associarli alle bambole o ai pupazzi visto che anche questi giocattoli hanno proporzioni alterate e caratteristiche facciali spesso ridotte all’essenziale.

    I FUMETTI JAPSTYLE NON SONO ORIGINALI?

    Prima di inoltrarci nella questione dobbiamo ben identificare cosa il nostro interlocutore intende con la parola “originale”. Prendiamo alcune definizioni prese dal vocabolario di lingua italiana Treccani:

    1) Con riferimento a scritti, opere d’arte o altre produzioni, che è di mano dell’autore (o fatto, dettato, diretto dall’autore), contrapposto a ciò che ne è una copia, una riproduzione, una imitazione.

    Questa definizione non la considero, perché non ricordo nessun “manga italiano” degno di nota che ha come “protagonisti una banda sgangherata di pirati dagli strambi poteri in giro per i sette mari” né tantomeno mi pare che esista un fac-simile di Dragon Ball all’italiana.


    2) Che non dipende o non è ispirato, suggerito da altri esempi o modelli.

    Questa definizione tendo ad escluderla, perché di fatto tutti siamo ispirati da modelli preacquisiti e ciò dovrebbe essere abbastanza noto. Anche i disegnatori sviluppano uno stile di disegno e/o una storia partendo da ciò che hanno visto e imparato in passato combinando poi il tutto con i propri gusti e la propria sensibilità. Certo, c’è chi produce miscele artistiche più simili ad altre e chi invece ne produce qualcuna più singolare, ma nessun autore potrà creare di fatto qualcosa di davvero originale in tal senso. Forse, solo se nascesse e vivesse nella giungla e poi disegnasse potrebbe, potenzialmente, arrivare a fare qualcosa del genere, ma in casi più normali la cosa sarebbe estremamente difficile.

    3) Che non ha somiglianza con altre opere analoghe e ha quindi una sua novità, un suo carattere proprio.

    Ecco infine giunti a quella che ritengo sia il significato giusto: una miscela artistica che si distingua sufficientemente, almeno in qualcosa, dalle altre. Arrivati a cogliere ciò, ritengo che lo stabilire quanto un'opera japstyle, o un'opera in generale, sia abbastanza originale e quanto ciò sia importante dipenda in gran parte dal lettore stesso. Difenderlo o attaccarlo sarebbe alquanto inutile e sterile, però c’è un aspetto che vorrei davvero sottolineare: l’originalità di un'opera non è per forza indice di buona qualità.

    Concludendo: chiarificati questi aspetti, l’invito che rivolgo a tutti, non solo ai lettori di fumetti, è quello di non avere pregiudizi quando si apprestano a saggiare qualcosa. Certo, accogliete le cose in base ai vostri gusti personali, ma staccatevi da sciocchi pensieri come quelli secondo cui la nazionalità di chi crea un prodotto incida sulla sua qualità.
    Ragionare seguendo certi preconcetti va tutto a vostro svantaggio, lo dico per voi, potreste magari perdere qualcosa che è capace di donarvi tanta ilarità o spunti di riflessione.

    Articolo scritto da Davide Strano

    Articolo pubblicato originariamente su Doraetos Manga #4
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